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ANTONIO ANIANTE
Claudia Burrafato su Antonio Aniante
E' stato un bell'incontro conoscere Aniante.
Questo è un estratto del testo: "Memorie di Francia":
Augurando ai capolavori e agli autori, buon viaggio e buona permanenza
Permangono i capolavori, nei musei, nelle gallerie pubbliche e private, nei granai, nei sotterranei, nelle spelonche, negli appartamenti
più ricchi e più umili dei quartieri alti e dei bassifondi, nelle profumerie e nelle cloache, nei palaces e nelle osterie, nei fondaci; e ovunque i capolavori non soffrono di insonnia: dormono; lindi o impolverati; nudi o incorniciati; valutati
o incompresi; noti o ignoti viaggiano, vagabondano; autentici o falsificati, rubati, barattati; con o senza passaporto; in condizioni legittime o irregolari; mentre attorno ad essi turbinano, roteano franchi, dollari e sterline, da dare il capogiro [...] Buona permanenza, buon viaggio, addio, o capolavori: che la divina provvidenza vi risparmi inutili o dannosi sciupii, insensate e convulse peripezie. O capolavori addio; io morirò lontano da voi, senza di voi, con l'amara
e magra consolazione di avervi davanti agli occhi nelle piu economiche riproduzioni. O capolavori dei miei più cari amici pittori, rivolgo a voi, di preferenza, il mio accorato addio.
ANIANTE: dialogo con Antonio Aniante a cura Lorenzo Vota
ANIANTE: dialogo con Antonio Aniante a cura di Lorenzo Vota dalla rivista Fermenti n. 7-9 --------------------------------------------------------------------------------- Aniante: Nonostante i miei successi sono in un'età in cui ben dopo Wilde sostengo una sua battuta: « gli scandali e le faccende degli
altri di tutti gli altri mi interessano più che le mie ». Vota: Quindi anche le mie mene ti incuriosiscono. Aniante: Sicuro. Tu sei laico senza esser fascista e scrivi senza preoccuparti né dei posteri né del pubblico.
Vota: Però le mie facoltà di colloquio si assottigliano: non compio una selezione per mio estro e per alterigia: è certo mondo comunista ecclesiale che, rifiutato da me, mi isola. - Ha ragione Vasco Pratolini in quell'ipocrita
libro che è La costanza della ragione. Pretenderesti che preti e comunisti ancora ti osannassero? E' il colmo. - No. Ma c'è una nuova componente in me ahimè non gaudiosa. Quando si è molto giovani si gode di cattivi e imbecilli:
verso i quaranta si prova nausea: perché se sono imbecilli, vedi la cultura ligure ad esempio, vomiti, se sono malvagi vedi Beauvoir, Silone, Cohn Bendit, Gluoksmann, Levy Strauss, Merleau Ponty, Sartre, la letteratura femminile che è tutta populistica
e beghina, Benoist, Ernst Bloch, Santucci, Pomilio Antoine Audouard ecc, ti impietrisci di terrore. - Ti si è rinfacciato qualunquismo perché, come hai testimoniato dianzi, mescoli alla rinfusa, nel tuo odio e rigetto, grandi scrittori e
minori, senza proporzione. - Anche tu mi hai frainteso: nell'ossario clericomarxista e quelli ohe ho citato lo sono tutti, cristiani di padre in figlio, non è questione di scrivere bene o male: di clericomarxista si muore e si da di stomaco tanto
se prendi una piccola dose, vedi autore oscuro o minore quanto se ti demolisce un colosso od un Nobel. Patroni Griffi, simpatico radicai chic scrisse Di amore si muore. Io dovrei scrivere Di cristianesimo si muore e si muore, come dopo una frontiera immisericordiosa,
tanto a un metro oltre la demarcazione quanto nel cuore del paese quanto ad un opposto estremo di esso. - Perché detesti i cristiani? A me sono indifferenti. - Tu sei nato assai prima del concordato e come presso mio padre eravate già
formati quando la calamità vi piombò addosso: invece a noi, quello smottamento di medioevo ritardato ci è volato addosso senza preavviso e in un'epoca in cui disarmati speravamo nella bontà della scienza. Odio i cristiani perché,
ricchi e poveri, tengono a realizzarsi nella sofferenza: un povero mira a restar tale e un ricco finisce coi pentimenti immotivati e paranoici di Tolstoj o con le mattane di Dostojewski. Abborro dalla letteratura russa salvo Turgeniev, Pushkin, e quelli che
ammettevano che non era rilucente che una certa società ne sfruttasse un'altra ma, aggiungo io, sarebbe stato ancora più folle che il bennato ossia il nobile e il ricco precedesse con un atto antistorico ossia cristiano la spoliazione dei propri
privilegi: in parole povere: offro la testa intrepidamente per signorilità come Cicerone quando vengo preso per esser trucidato, ma non mi uccido prima che la società mi giustizi - Insomma neghi la coscienza. - Precisamente e in ciò
sono ultramarxista: se qualcosa è ingiusto è la società che lo dimostrerà e mi castigherà. Non tocca a me autopunirmi: ecco il punto: quindi dal furto di una caramella ali' assassinio di un amico allo stupro di una decenne,
al ladrocinio, alle spese dei « diseredati », io non devo esser in grado di trasalire né di giudicarmi: se la passo liscia significa che la storia mi ha permesso di passarla liscia: se mi processa e ammazza significa che andava bene anche
se non avevo commesso che una infranzioncella da infante. E' una specie di positivismo alla Auguste Conte, il mio. Dal positivismo nasce il marxismo, nasce il vero Croce non Gentile. Dalla sublime insensibilità alle cose sociali, nasce la cultura e
Croce era insensibile, Gentile si è fatto accoppare come un cane dai partigiani: idealismo maledetto, sia di destra che di sinistra. - La tua è una visione mafiosa. E chi ti ha detto che non preferisca la mafia a Silone a S. Francesco
a Papa Giovanni XXIII, e tutta questa cianfrusaglia di dannosi inutili? Infatti prediligo Sciascia che è realistico verso la mafia, non la abbellisce secretariamente come Mario Puzo ma è inesorabile verso i dicci. Il mio stomacamento non è
ridurre i miei pranzi a un tramezzino e perdere il poco o il tanto che possiedo: è condividerlo colla pantomima clericale, è dividere il mio marxismo coi preti, come in Polonia, doppio inferno: quanto a rimanere nullatenente ma esautorare per
sempre con un'atomica morale ed economica tutto il clero, tutta San Pietro ci sto, sin da domani: guaio è che né don Berlinguer né altre false albe accetterebbero. Berlinguer pencola più per il Cardinal Bettazzi di Ivrea o per il
cardinal Benelli di Firenze, che per il suo colto collega Amendola che di chiesastico ha per fortuna poco o niente. Arrivo pensino ad amare Nenni a gradire Saragat pur di non aver da fare coi Christi. - Non occorre dire che detesti Roma. - Al punto
che o Roma o morte dovrebbe esser tassativamente mutato in Roma e morte e Roma e merda. -- Non sai che, fine come sei, intaccando la volgarità ti tagli le gambe con gli avversari? - Sì, ma quando ci vuole ci vuole. Non è essa
stessa una frasaccia da romano questa? Quando sono stercorario mi trovo su di un palcoscenico di Roma o di Parigi se vuoi, insomma una capitale ad alto potenziale cattolico - Hai ragione che quelle teste innominabili di nostri connazionali non hanno mai
inteso, che la dicci è una brevis manus del Vaticano, che è la stessa famiglia e non se ne esce più. Questo lo capivano persino i francesi tra i quali io trascorsi la vita, lo comprendeva persino Mauriac, Claudel, Maritain, con un certo
sollazzo perché a loro tale commonwealth andava in poppa. La Francia non è mai stata la « sorella latina », è stata la sorella clericomarxista. Guarda mia moglie, francese, con tutta la sua civiltà, usa frasi inconcepibili
in una nordica: pensa di sopravvivermi, io son una quercia e lei è un bel po' più giovane di me: « quando Antonio muore io vado a stare a Parigi ». - Non devi stupirti: anche loro sono gente che ha fatto fuori tutta una popolazione
protestante in una notte e ha falciato tutti i collaboratori, ossia i poveracci del rattoppo di Vichy, nella buffa «resistenza» francese. Nunquid e tu: Gide e Virgilio. Gide era un tesoro, non perché fosse lucido e pederasta: perché
era protestante e antifrancese, come Montherlant era mio grande amico non perché di destra ma perché nella sua destra si celava spregio per la Francia e uno spaventato paganesimo. Ho amato pure Giono, la Sagan, Valéry seppur oscuro come
il deretano di un negro: meglio il simbolismo che quella chiarezza cristiana che è la morte; quella grazia che è un pugno in un'orbita, quella rivelazione che è una crucefissata nella nuca. La Francia di Cocteau, di Celiale, di Brasillac,
di Drieu la Rochele, di Saint Exupéry ormai è una Francia minore come quella del Pantheon che include Anatole France. - Insomma, anziché una letteratura rivoluzionaria preferisci una signorilità statica edonistica tutta sensi
e intelletto secondo il partenopeo e rhemingwayano « chi ha ha, chi ha avuto avuto ». - Ai miei ammiratori disquisisco sempre così « andate a vedere com'era un autore nei verd'anni: poi accettate di leggerlo: se sin da giovane
era innominabilmente brutto come Monsieur Sartre, Edoardo Sanguineti o Jean Genet chiudete il libro: non ne sortirebbe che tanfo ». - Hai fatto una topica: io neppure sono più bello: sono sfiancato dall'artrite e sono malridotto. Ho ottanta
anni Sarà banale ma ti ho visto in foto e conosco la tua opera: laica sino alla disperazione degli italiani ecco perché come anti fascista autentico non ti hanno onorato abbastanza e sono freddini. Non sai di Roma, di chiesa, non c'è
una nota del nostro paese, San Pietro, in te. Da giovane eri assai avvenente: parevi Raymond Massey con tutta la galanteria birbona di un avventuriero dello immoralismo gagliardo (Confessioni obbrobriose, la tua opera più avvincente) unito a un vitalismo
che Piovene ha fatto finire in sedute spiritiche e gesti da giocoliere tra Charlot in fase ultragoffa e Fanfani in fase da professore serale quale credo sia stato. Purtroppo sono stato aggiuntivamente allevato con ascendenze piemontesi che, per definire,
sin da quando ero piccolo la gente da scartare, mi assordarono la infanzia con fulatùn (scemo) e brut che non è lo spumante o lo sciampagna secco ma significa laido brutto. La mia infanzia ligure-piemontese non è stata che un tirocinio
di schiaffi allo scemo e al brutto, allo stupido e al laido che in mio padre ebbe ed ha un ritornello ossessivo, paventatole direi, ma infine sano come gli schiaffi sulla pelle degli ippopotami. Una selezione razziale del corpo come presso Von Stein, azzarderei.
Non per niente un mio trisavolo fresco fresco era di Berna. V'è il lato germanico in me implacabile verso i malnati i deformi. Caveas signatis, insomma, quello latino: credo meridionalmente al malocchio e nego pietà ai brutti: scrissi autorevolmente
un giorno che la pietà non è che ridursi nello stato di chi te l'ha ispirata e quando sei ridotto in stato pietoso ti spazzano via e han ragione ma tu no, tu sei una quercia un po' disrotta dagli anni ma sempre di un dato fusto di una data alberatura
e alberazione. So riconoscere i malnati: sono quelli che son partoriti male e non fanno nulla per migliorarsi. Tu resti un bel vulcano siculo. - E' la fine: occorre diventare dei « loro » ma il guaio è che se non hai quattro quarti
di nobiltà « loro » ti snobbano. Hai visto l'epilogo di De Carolis, di Di Montelera, che pure erano come si suoi dire partiti bene. - Gentaglia lamentosa come Sacharov, Plirtsch, Orlov, Soldatov, Solgenitzin, Siniavski, Daniel e tutta
la gazzarra di almeno otto nomi ucraino-ebraico-tedeschi che si lamentano dell' Urss: dell'Urss ci se ne può liberare, per chi lo desideri, emigrando, posando a martiri in Europa ma a noi la eterna compagine dicci chi ce la toglie? - Lelio Basso
socialista massimalista, almeno anni fa, e Terracini han detto a me pacatamente, anni fa, che è questione di secoli la fine del cristianesimo: siamo nelle condizioni dei protomartiri cristiani òhe auspicavano la fine dell'impero, Tiberio, allora,
verso il 32 dopo Cristo. Ci vollero quattro secoli per soddisfare tale voto. - Siamo spacciati e non resta che arruffianarsi ma dopo quello che gridiamo contro di loro, l'establishment ci darà un posto? - No, soltanto le briciole come chi
si converte all'ebraismo a New York; alla prima generazione lustri ancora i passanti di ottone, alla terza forse diventi segretario di un ebreo, alla quinta sposi la meno dotata delle israelite e rinunciando al tuo cognome o prendendolo doppio, eccezionalmente,
arrivi, come si dice, in famiglia. Come vedi è stolto calunniare la mafia: ve ne sono delle più forti ahimè sconfiggibili solo da sciagurati tristi. I due grandi tristi della nostra epoca: Stalin e Hitler che però contro entrambe
quelle genie la stavano per spuntare ma a caro prezzo: esistono solo più, padelle e braci: la serenità di un cibo, di una tovaglia, di un lucore che redima è un idealismo da Dolci, Danilo
* RICORDO DI ANTONIO ANIANTE* UN FRONTALIERE DELLA CULTURA
La Rosa di zolfo, il suo ultimo e forse maggiore lavoro teatrale, ridotto in un atto, viene rappresentato per la prima volta a Nizza nel 1957 dalla Troupe du Petit Théatre du Quai Saint-Jean Baptiste con un anno di anticipo sulla prima rappresentazione mondiale nel testo definitivo in tre atti, avvenuta a Venezia nel 1958, al XVII Festival Internazionale di Prosa con l’interpretazione di Enrica Corti, Paola Borboni, Domenico Modugno e Ottorino Guerrini per la regia di Franco Enriquez.
RICORDO DI ANTONIO ANIANTE, UN
FRONTALIERE DELLA CULTURA Lo scrittore, vissuto per lunghi anni a Latte di Ventimiglia, commemorato a Savona dal Sodalizio “Luigi
Pirandello” Proiezione de “L’uomo dal fiore”, l’unico documentario esistente su Aniante. Lettura di alcuni
brani di sue opere teatrali da parte di attori del “Piccolo Teatro”. Il 15 febbraio 1986, a Savona, nel palazzo dell’Anziania in piazza del Brandale, è
stato rotto il silenzio ingiustamente calato sulla memoria di Antonio Aniante, lo scrittore di origine siciliana “emigrato” in Francia e poi stabilitesi definitivamente a Latte, la più popolosa frazione del Ponente ventimigliese. L’iniziativa della commemorazione è partita dal Sodalizio siculo-savonese “Luigi Pirandello” in collaborazione con la società A Campanassa e l’Associnema di Savona. La manifestazione alla quale hanno partecipato, fra le autorità, il Provveditore agli Studi Franzone e il Prof. Mantero, e un pubblico attento e qualificato, si è aperta con il saluto del Presidente
de A Campanassa Ing. Peluffo, del Dott. Motta Presidente del Sodalizio “Pirandello” e del Dott. Benino Presidente della sezione Liguria del Sindacato Libero Scrittori Italiani di cui Aniante fu socio e presidente onorario. Infine l’appassionato ricordo della signora Maria Cirone Scarfì autrice, assieme al marito, del documentario “L’uomo dal fiore” (questo significa in greco lo pseudonimo “Aniante”)
girato a Latte, nel giardino della villa I Pini, pochi mesi prima della morte dello scrittore, avvenuta all’ospedale di Ventimiglia il 6 novembre 1983. Quando su un piccolo schermo, montato
per l’occasione, sono apparse le immagini a colori di Aniante, con la sua voce che risuonava fra le pareti di pietra dell’antico palazzo, è stato un momento di grande commozione per tutti, specialmente per la vedova M.me Simone Briffault,
giunta da Ventimiglia con una piccola delegazione della nostra città. Con voce melodiosa, velata di leggeri accenti ironici, lo scrittore ricordava alcuni episodi della sua carriera di scrittore,
costretto a vivere la fase finale della vita in un’epoca di “cultura industrializzata” nella quale egli, evidentemente, non riusciva ad identificarsi. Durante l’intervista,
Aniante era in compagnia del pittore Virio da Savona, ospite d’onore alla manifestazione, il quale, prima della proiezione del documentario, aveva ricordato l’incontro e l’amicizia con Aniante a Parigi nel lontano 1932, quando lo scrittore
aveva aperto a Montparnasse la galleria d’arte Jeune Europe per la quale passarono quadri di artisti destinati poi a diventare famosi come Matisse, De Chirico, De Pisis. Ed era ancora
Aniante a ricordare, durante l’intervista, che se, al momento della chiusura della galleria, anziché essere costretto dalle necessità economiche a svendere tutte le opere, fosse riuscito a conservare per sé qualcuno dei quadri che,
negli anni successivi, raggiunsero quotazioni astronomiche, egli sarebbe diventato certamente ricco. Ma tutto questo lo diceva sorridendo pacatamente, senza ombra di rimpianto o amarezza. A questo punto,
ha inizio la commemorazione ufficiale, tenuta dalla Prof.ssa Graziella Corinovi dell’Università di Genova che ha ricordato le principali tappe del lungo curriculum di Aniante scrittore, nato nel 1900 alle falde dell’Etna, a Catania,
patria di Verga e di Bellini, del quale scriverà poi una biografia, mentre alla città natale e alla Sicilia dedicherà gran parte della produzione letteraria. E Catania - dove nel
1982 è stato pubblicato dall’editore Aldo Marino il bello studio biobibliografico di Rita Verdirame su Aniante - sarà l’unica città al mondo a ricordarsi di lui. Secondo
la Prof.ssa Corsinovi, ci troviamo di fronte ad uno scrittore di tutto rispetto (scrittore anche in lingua francese, fatto che trova riscontro soltanto in D’Annunzio) il cui scarso successo di critica era spiegato dall’Autore stesso
con queste amare parole: «Non sempre la qualità va di pari passo con la fortuna». Ma - ha proseguito la relatrice - oggi finalmente l’Italia scopre di aver
avuto una avanguardia novecentista nel trinomio Pirandello, Rosso di San Secondo, Aniante. Tre cittadini del mondo quanto a ideale artistico ma, nello stesso tempo, tre avanguardisti, alla sofferta ricerca di soluzioni nuove per il loro teatro - che,
nel caso specifico di Aniante, era quello romano degli Indipendenti di Anton Giulio Bragaglia - dal quale si studiavano di eliminare le finzioni sceniche tradizionali sfruttando tecniche innovative futuriste. Di Aniante scrittore è stata ricordata la capacità di far lievitare la realtà fino alla magia, secondo i canoni del "realismo magico" di Bontempelli al quale egli giunse per un suo proprio itinerario artistico. Nell’opera di Aniante, romanziere e drammaturgo, sono presenti i caratteri fondamentali dell’ambiente siciliano: passione, sensualità, religione, superstizione e fanatismo. Ma è
anche riscontrabile la componente grottesca ed umoristica, che stempera il moralismo, e la svalutazione della scienza e della cultura in favore del vitalismo futuristico. Lo sradicamento dall’Italia,
e soprattutto dalla Sicilia, il “pendolarismo” italo-francese, sono le ragioni principali della solitudine di Aniante e del suo isolamento di “petit sicilien” nella cosmopolita metropoli parigina d’anteguerra brulicante
di varia umanità: esuli alla ricerca di una patria, artisti in cerca di successo, bohémiens, déracinés, gente che viveva alla giornata nella quotidiana speranza di sfamarsi. Ma la Francia, malgrado tutto, resta pur sempre per Aniante una seconda patria, anche nel dopoguerra quando si stabilisce nella zona di confine e diventa una specie di frontaliere della cultura. Non per nulla, La Rosa di zolfo, il suo ultimo e forse maggiore lavoro teatrale, ridotto in un atto, viene rappresentato per la prima volta a Nizza nel 1957 dalla Troupe du Petit Théatre du Quai Saint-Jean Baptiste con un
anno di anticipo sulla prima rappresentazione mondiale nel testo definitivo in tre atti, avvenuta a Venezia nel 1958, al XVII Festival Internazionale di Prosa con l’interpretazione di Enrica Corti, Paola Borboni, Domenico Modugno e Ottorino
Guerrini per la regia di Franco Enriquez. Al termine dell’applauditissima commemorazione della Prof.ssa Corsinovi, due giovani attori del Piccolo Teatro di Savona, Mariassunta Rossello
ed Enrico Cirone hanno letto alcuni brani di Gelsomino d’Arabia e de La Rosa di zolfo, due opere teatrali che, a distanza di tanti anni, conservano intatta la loro carica fantastica e surrealistica. * * * * Ad Aniante va dunque restituito il titolo di scrittore, e di poeta anche, se si vuole tener conto di quanto egli scrisse a proposito della poesia erba
aromatica e benigna, che deve rimanere il nostro miglior rimedio, da coltivarsi sempre. Cosa che egli, giovanissimo, iniziò a fare fin dall’esordio con la raccolta di versi Costellazioni,
pubblicata a Catania nel 1915 e che continuò nell’ultimo periodo della vita, fino alla morte quando - come prefigurava in Obbrobriose Confessioni del 1952 - avrebbe visto sfilare davanti agli occhi quella che definiva la pellicola
stravagante della sua vita e della sua carriera.
RENZO VILLA
LA
VOCE INTEMELIA anno XL n. 3 - marzo 1986 Trasferitesi,
negli Anni Trenta a Parigi - dove conobbe Pirandello - vi esercitò la professione di antiquario e, più tardi, scrisse in lingua francese, alcune delle sue più importanti opere fra cui il racconto Un jour très calme che
fornì a Duvivier la trama per il film Sous le ciel de Paris. Nella capitale francese, Aniante ottenne uno dei massimi riconoscimenti della sua carriera letteraria: la medaglia d’oro
dell’Accademia di Francia. Nel secondo dopoguerra si ristabilì in Italia e pubblicò La baia degli angeli (1951), ambientato nel mondo degli esuli italiani a Nizza nel periodo
bellico e, nel 1958, mise in scena, alla Biennale di Venezia, la Rosa di zolfo, una delle sue migliori opere teatrali. Gli ultimi suoi scritti. La canicola (di ambiente provenzale) e Fatti e parole risalgono agli Anni Settanta. Sempre negli anni del dopoguerra, Aniante fu addetto culturale al Consolato Generale d’Italia, prima a Nizza e poi a Monaco, e contribuì col prestigio della sua personalità al ristabilimento
dei rapporti di buon vicinato fra Italia e Francia, dopo il dramma del secondo conflitto mondiale.
LA VOCE INTEMELIA anno XXXIX n. 1 - gennaio
1984
Uno scrittore e commediografo da approfondire
Antonio Aniante, pseudonimo
di Antonio Rapisarda (Viagrande, 2 gennaio 1900 – Sanremo, novembre 1983), è stato uno scrittore e commediografo italiano.
Esordì come giornalista per la rivista "900", Cahiers d'Italie et d'Europe di Massimo Bontempelli e Curzio Malaparte, ma si rivelò ben presto come buon autore teatrale. Fu influenzato inizialmente dal realismo magico e dal futurismo. Tra le sue opere principali si ricordano le commedie d'avanguardia scritte per il Teatro degli Indipendenti di
Roma Gelsomino d'Arabia (1926) e Bob-Taft (1927); Carmen Darling (1929, rappresentata da Carlo
Ludovico Bragaglia); inoltre Domenico Modugno nel 1958 presentò al Festival della Prosa di Venezia
la sua commedia La rosa di zolfo. Come romanziere,
ha scritto Sara Lilas. Romanzo di Montmartre (1923), Amore mortale (1928), Venere ciprigna. Novelle (1929), Il
paradiso dei 15 anni (1929), Ricordi di un giovane troppo presto invecchiatosi (1939), La zitellina (1953), L'uomo di genio
dinnanzi alla morte (1958), Figlio del sole (1965, che ha vinto il Premio Selezione Campiello),
Memorie di Francia (1973) e Vita di Bellini (Piero Gobetti editore, Torino 1925, altra edizione del 1986).
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